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Vendemmia verde, decreto in ritardo

Con la firma del decreto del Ministero delle Politiche Agricole, di concerto con il Ministero dell’Economia e della Finanza, diventa operativa la misura per il contenimento volontario della produzione e miglioramento della qualità dei vini a denominazione di origine e a indicazione geografica, per cui sono stati stanziati, nel Dl Rilancio, 100 milioni di euro. La misura, che consiste nella rimozione parziale dei grappoli non ancora giunti a maturazione o la mancata raccolta di una parte di questi, prevede una riduzione non inferiore al 20% rispetto al valore medio delle quantità prodotte negli ultimi 5 anni, escludendo le campagne con produzione massima e minima (quindi, la 2018 e la 2017). Per le aziende, il ristoro per ogni ettaro interessato da questa operazione – ossia la vendemmia verde – ha come importi massimi per ettaro: 500 euro per uve destinate a vini Igt, 800 euro per uve destinate a vini Doc e 1.100 euro per uve destinate a vini Docg. 

Positivo il giudizio della Cia sul decreto, ma è arrivato in ritardo. Le aziende hanno poco tempo per attuare la misura. Una vera corsa contro il tempo, considerando anche la robusta burocrazia connessa ad ogni operazione in vigneto. 

Inoltre il provvedimento da solo non basta a rilanciare un settore da 13 miliardi, di cui oltre 6 miliardi realizzati sui mercati esteri, così colpito dagli effetti del Covid-19. Serve lavorare su un “progetto Italia” in cui i vini dei territori siano protagonisti e facciano da traino al Made in Italy nel mondo. Per questo, bisogna orientare al meglio le risorse, puntando su promozione, Ocm e internazionalizzazione.

 “La situazione è molto difficile – afferma il Presidente regionale della Cia Gabriele Carenini – le ripercussioni in termini di impatto economico del Covid 19 non sono ancora definibili. Le cantine sono piene di invenduto, come emerge dalla fotografia settimanale del ministero dell’Agricoltura. Il coronavirus ha rallentato l’export di vino, fondamentale per la sopravvivenza del settore in Piemonte. Più del 60% del vino piemontese prende infatti la via dell’estero. Bisogna che si pensi fin da subito a mettere in piedi una grande azione promozionale istituzionale dedicata ai mercati esteri. Rivolgiamo in tal senso un appello accorato alle nostre Istituzioni, che speriamo venga accolto, per risollevare le sorti di una delle eccellenze del made in Piemonte, che incide fortemente sul Pil, oltre a garantire lavoro a tante famiglie I produttori non intendono abdicare al loro ruolo e vogliono continuare a coltivare le vigne, ma devono essere messi nelle condizioni di poterlo fare”.

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